Torino. Highlander, nel senso del film. E’ così che i giovani dirigenti del Pd torinese definiscono la scena del Partito democratico piemontese. Piegato dalla sconfitta di Mercedes Bresso e ora dilaniato da guerre intestine, botte da orbi e un tutti contro tutti che hanno una sola posta in gioco: mantenere la guida del comune di Torino nel 2011. Dirigenti e militanti si comportano come fossero gli immortali combattenti scozzesi che devono combattere il male per far prevalere il bene. Personale si intende. Ora il problema non è tanto la Bresso, che pure ogni giorno lancia un boomerang diverso, ma la disgregazione di un partito diviso in piccoli gruppi. Con il segretario Gianfranco Morando in cima alla piramide, che si trova nella scomoda posizione di mediare fra gli esasperati personalismi e non sa come fare a ritrovare l’unità sotto la Mole. E infatti la lista dei nomi di quelli si autocandidano a raccogliere il testimone di Sergio Chiamparino è ogni giorno più lunga. Per ora ne abbiamo contati tredici. Ma sono soprattutto i giovani i più infastiditi dalle divisioni interne. Gli unici che non guardano alla vittoria di Cota con astio, ma semmai con imbarazzata curiosità. E magari anche con un pizzico di invidia perché nel Carroccio non c’è bisogno di fare appello al patto generazionale per chiedere ai più anziani di farsi da parte per arrivare all’agognato rinnovamento, che magari permetterebbe al Pd di non perdere anche il controllo del comune di Torino. “Un motivo deve esserci se il Pd alle elezioni regionali è riuscito a perdere anche a Vercelli, dopo che il presidente della provincia è stato arrestato per concussione”, ci fa notare Stefano Esposito, parlamentare, bersaniano, considerato fra i più brillanti esordienti della nuova generazione. Roberto Tricarico, proveniente dai Verdi, apprezzato assessore alla Casa al comune di Torino, invece ricorre all’allegoria di Asterix. “Dopo la vittoria di Cota, ci sentiamo come i galli assediati dai romani”, ironizza. E invita tutti a non stupirsi troppo dell’ascesa della Lega, a ricordarsi che a Torino nel 1993 il Carroccio ha preso il 22 per cento. E infatti la riunione straordinaria indetta da Morgando venerdì scorso con consiglieri, parlamentari e dirigenti del partito per cercare di superare la stagnazione del Pd piemontese aveva questo ordine del giorno: federalismo, enti locali, rilancio economico, difesa del lavoro. Che a voler essere puntigliosi assomigliava parecchio al programma di governo di Roberto Cota, anche se con prospettive diverse. E forse non è un caso che qualche giorno fa Sergio Chiamparino abbia fatto intendere che magari bisognerebbe individuare un candidato esterno. Davide Gariglio invece, altro quarantenne che è stato il consigliere regionale più votato con tredicimila preferenze, usa un’allegoria ancora più spietata per definire la deriva del Pd piemontese: “Siamo come le bande somale”, chiosa.
E poi c’è Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio regionale, acerrimo avversario della Bresso, considerato una macchina da guerra per raccogliere preferenze (alle ultime elezioni ne ha prese undicimila a Torino). Ora sta lavorando per riportare il partito a far gioco di squadra, seppure sia noto che anche lui ambisce alla nomination per il 2011, ma ha annunciato che è pronto a farsi da parte se il Pd troverà la sintonia su un unico candidato. Placido è stato uno dei pochi a predire con esattezza quasi matematica la sconfitta alle regionali e teme che l’autogol si possa ripetere anche alle comunali. “Sarò onesto”, spiega al Foglio, “sono stupito che alle elezioni regionali abbiamo perso per così poco”, osserva. Su una cosa però sono d’accordo tutti, o quasi: indietro non si torna. E infatti, davanti all’eventualità della candidatura di Piero Fassino alla poltrona di sindaco, molti nel partito hanno risposto con questa battuta: “Un candidato romano? No, grazie, sappiamo perdere anche da soli”. (cris.giu.)